Recenti statistiche segnalano che nel mondo il numero di persone in sovrappeso od obese è in costante e preoccupante aumento. Da qui la necessità da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di dichiarare guerra ai chili di troppo, la cui causa va ricercata soprattutto nella sedentarietà e nelle scorrette abitudini alimentari.
Giovedì 7 giugno 2007 a Roma presso Palazzo Rospigliosi è stata presentata una ricerca commissionata dalla Coop e condotta da Marina D’Amato dell’Università di Università di Roma 3 in collaborazione con l’Osservatorio di Pavia sull’eccesso di spot pubblicitari di alimenti e bevande nei programmi televisivi dedicati a bambini e ragazzi in 11 paesi europei.
Dai 5563 spot sugli alimenti visionati (1256 in Italia), si ricavano differenze profonde tra la situazione delle pubblicità nei vari Paesi UE considerati e quelli italiani. Mentre l’idea di utilizzare la pubblicità per insegnare a mangiare bene è una pratica utilizzata in Spagna, Gran Bretagna, Polonia e Portogallo, dove, spiega Marina D’Amato, sociologa coordinatrice dell’indagine, “la pubblicità ha il preciso scopo di informare e si fa carico di tutelare i minori da messaggi sbagliati sulla cattiva alimentazione”, in Italia la situazione è diversa.
Una rappresentazione rassicurante, che accompagna la sponsorizzazione di merendine e prodotti di altro tipo e che è molto diversa dagli scenari che fanno da sfondo alle pubblicità europee, in cui a essere maggiormente presente sono scene legate alla realtà cittadina e un’informazione più basata sulla capacità critica di valutare il prodotto. E’, dunque, poco lo spazio riservato, come nell’esempio italiano, a messaggi pubblicitari incentrati sulla persuasione. Notevole lo scarto che, in Italia, divide la televisione pubblica da quella commerciale: dei 1256 spot di 160 prodotti alimentari analizzati, le inserzioni dei network privati sono il 77% contro il 23% della Rai.