“In lista molti professionisti e poche donne”, così titolava un articolo de Il Sole 24 ore alla vigilia delle elezioni del 6 e 7 giugno 2009, proponendo un’analisi delle 828 candidature italiane al parlamento europeo e il profilo, in sintesi, dell’euro-candidato italiano “tipo”: “professionista, cinquantenne, maschio”. “La presenza femminile si ferma al 32%”, così recitava il sottotitolo del medesimo articolo, mettendo in evidenza la percentuale di donne candidate, appena vicina alla tacita ripartizione di quote secondo la regola dei due terzi che ha guidato le candidature alle precedenti elezioni europee, nel 2004, e ispirato diversi disegni di legge sulle cosiddette quote rosa. Una regola che, se ha contribuito a incrementare la rappresentanza femminile italiana a Strasburgo – aumentata dal 19% del 1999, al 21% del 2004, fino all’attuale 25%, secondo i risultati ancora provvisori al 18 giugno, in attesa della tornata costitutiva è ancora lontana (in realtà anche idealmente) dal garantire una distribuzione di genere che rappresenti la proporzione fra donne e uomini esistente nella società italiana, dove le prime rappresentano il 51% della popolazione, i secondi il restante 49%.
E la televisione? Che ruolo ha giocato? Ha contribuito a dare alle donne – in politica sempre sotto-rappresentate dal piccolo schermo – un po’ di visibilità?