Le Olimpiadi di Rio 2016 sono state un’occasione importante per puntare i riflettori dei media sulle eccellenze dello sport femminile, italiane e non. Le atlete che partecipavano ai giochi erano numerose e molte di loro hanno conquistato il podio con una medaglia d’oro, d’argento o di bronzo.
In effetti, l’attenzione per le singole atlete non è mancata, attestandosi su percentuali di molto superiori a quelle di norma registrate dalle ricerche sulle donne nei programmi e/o nelle notizie di sport.
La loro visibilità avviene però spesso a discapito di una rappresentazione stereotipata, che insiste sulla loro appartenenza al genere, celebrandone la femminilità fatta di piante e lacrime che non hanno paura di sgorgare, di sorrisi e sguardi seducenti che portano il pubblico lontano dallo sport e lo introducono nel privato.
Quel privato che sembra irrinunciabile, specie alla carta stampata specializzata, per celebrare la grandezza delle eccellenze, femmine o maschi che siano.
Ma a pagarne il prezzo più caro sono le donne: le competizioni femminili godono infatti dei tributi della cronaca specialmente quando le atlete vincono, magari destando stupore perché sono “Supermamme con in mano un fucile”, icone “di stile e bellezza” come “la divina Pellegrini”, o “sexy con ironia su Instagram” o, ancora, quando suggeriscono al pubblico l’occasione di “rifarsi gli occhi con lo spettacolo della ginnastica femminile”. Le discipline maschili invece si ritagliano uno spazio di attenzione maggiore, specie sulla stampa, indipendentemente dalla fama degli atleti.