Sono pochi ma buoni: nell’ultimo anno solo 19 film e 5 fiction hanno toccato in Italia contenuti legati al mondo lgbt, mettendo al centro il tema dell’identità senza introdurre elementi negativi o escludenti. Come Io e leidi Maria Sole Tognazzi che racconta l’amore fra Marina e Federica evitando gli stereotipi, o Vergine giurata, lungometraggio d’esordio di Laura Bispuri, che esplora la psicologia di Hana, donna che diventa uomo obbedendo all’antico codice Kanun. Quanto alle fiction italiane, i temi lgbt entrano nella quotidianità del racconto, come in Un posto al sole o in È arrivata la felicità, suggerendo un mondo risolto e senza pregiudizi sulla scia delle serie straniere, che danno massima visibilità ai temi lgbt. Da Grey’s anatomy a Faking it, fino a Beautiful che ha affrontato in modo equilibrato un racconto transgender con la consulenza di GLAAD (Gay & Lesbian Alliance Against Defamation ).
Senza dimenticare pubblicità come Findus con la sorpresa del coming out in famiglia e Tim Vision che include, tra le altre, una coppia gay. Non l’omosessuale, dunque, come un target a cui mirare, ma le identità lgbt raccontate come parte del mondo a cui ci si rivolge.
Sono solo alcune delle nomination proposte durante la prima edizione dei Diversity Media Awards, che – sul modello dei GLAAD Awards – vogliono premiare film, programmi radiofonici e televisivi, articoli e servizi che hanno contribuito a una corretta rappresentazione del mondo lgbt.
Perché di strada ce n’è ancora tanta da percorrere, come rivelano le ricerche DMR (Diversity Media Report) che vengono presentate oggi a Palazzo Marino. Valutazione positiva per la qualità e l’efficacia dei messaggi sulle persone lgbt nell’entertainment in Italia nel 2015 (soprattutto per cinema e fiction). Sono racconti perlopiù equilibrati con le punte più basse registrate nell’intrattenimento televisivo, nota Maria Luisa Bionda, responsabile di 2B Reserach che ha analizzato i testi valutando la capacità di proporre modelli d’identificazione positivi.
Ma la quantità lascia molto a desiderare…
Prendiamo, ad esempio, il prime time di 6 Tg italiani (Tg 1, Tg2, Tg3, Tg4, Tg 5, Studio Aperto) nell’arco di 10 anni (dal gennaio 2005 al dicembre 2014): su 426.098 notizie registrate solo 1.469 riguardavano la realtà lgbt, ovvero lo 0,3%. Un trend in crescita, confermato dall’analisi del primo semestre 2015 con 142 notizie pertinenti al mondo lgbt, pari allo 0,7% del totale.
Ma che cosa fa notizia? Il diritto al riconoscimento delle unioni e/o matrimonio fra persone dello stesso sesso rappresenta quasi un terzo dell’agenda lgbt (dal 28,9% nel decennio 2005-2014 al 33,1% del primo semestre 2015). Seguono le notizie relative a discriminazioni (24%) ed episodi di cronaca nera (13,9%). Osserva Monia Azzalini che ha coordinato la ricerca svolta dall’Osservatorio di Pavia:
«A dieci anni dal 2005, la comunità lgbt fa un po’ più notizia e un po’ meno paura. Gli eventi lgbt acquistano visibilità perlopiù al traino della politica (25,4%), dallo scandalo che travolse nel 2009 il presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo e alcune persone trans al dibattito sulle unioni civili e alla vittoria del sì in Irlanda sui matrimoni fra persone dello stesso sesso»
Seguono le notizie che riguardano inchieste, processi, sentenze con protagoniste persone lgbt (19,2%). Ad esempio, la sentenza di Cassazione in Francia che approva l’affidamento di minori a una coppia omosessuale e, nel 2015, la sentenza del Tar del Lazio sulla trascrizione delle nozze civili all’estero. Anche la società civile (con eventi come il Gay Pride) è una voce rilevante tra le fonti (16,3%).
Ma le notizie vengono date in modo corretto? Sì e no: dall’indagine esplorativa sul 2015 risulta che su 232 notizie pertinenti al mondo lgbt, solo 57 hanno passato l’esame per il livello di approfondimento, il linguaggio e le immagini inclusive e appropriate, non stereotipate né sensazionalistiche
«Il nostro obiettivo – dice Francesca Vecchioni che ha creato Diversitynell’ottobre del 2013 – è combattere le discriminazioni legate al mondo lgbt, ma il nostro taglio è diverso da quello delle altre associazioni: ci occupiamo di comunicazione e ricerca coinvolgendo università e centri perché la cultura alta venga divulgata nel modo più pop possibile».
Garantire un’informazione corretta non è semplice, ma è fondamentale per agire positivamente su un immaginario collettivo che con la conoscenza potrebbe superare pregiudizi e paure.
Ed ecco i Diversity Media Awards, uno strumento per valorizzare chi nel mondo della comunicazione rappresenta con correttezza il mondo lgbt. E da aprile si aprono le votazioni on line per premiare i migliori tra film, fiction, programmi radiofonici, servizi tg, campagne pubblicitarie o personaggi. Per poi, a fine maggio, consegnare i premi in un super evento con tanto di tappeto rosso.
«I premi non sono frutto delle idee magari discutibili di una giuria ma sono basati su criteri scientifici, linee guida internazionalmente riconosciute. Come nel caso dei GLAAD Awards statunitensi, ma noi in più abbiamo riunito una commissione di 15 professori provenienti da 11 atenei italiani e scelti tra i docenti più esperti di tematiche lgbt, dalla sociologia al diritto». La commissione ha lavorato insieme alle tre responsabili della ricerca (Elisabetta Ruspini per la metodologia, Maria Luisa Bionda per l’entertainment e Monia Azzalini per l’informazione) che sulla base dei parametri hanno preparato schede condivise con i docenti e date poi a 40 analisti e ricercatori che si sono suddivisi i contenuti mediali.
Un lavoro durato parecchi mesi ma ne valeva la pena perché, come sostiene Francesca Vecchioni, è incredibile «quanto agisca sull’immaginario individuale e collettivo una rappresentazione corretta». Che prosegue:
«E questo fa parte dell’enorme responsabilità di chi lavora nel mondo dell’informazione. L’ignoranza crea mostri. Avere miti positivi è importante per omosessuali e non. Io sono cresciuta senza rappresentazioni di me stessa, ho dovuto inventare il mio futuro»